Old Boy by franz

rimuginato da franz , mercoledì 20 luglio 2005 02:04

L’ hanno definito violento, perverso, immorale.
Ed io confesso che più ci penso e più lo vedo in primo luogo come una grande storia d’amore (ragazza snaturata!!). Un amore che esiste, è vero, tangibile e devastante come ogni altro amore, ma che non viene accettato dalla società.
Siamo in Corea, ma Chan-wook Park si discosta molto da Kim Ki-duk, regista di “Ferro 3”, anche lui coreano, e si potrebbe dire ad una prima occhiata che non abbiano assolutamente nulla in comune. A me invece piace vederli un po’ come le due facce della Corea.
In “Old Boy” i silenzi giocano un ruolo molto importante, spesso più delle parole, anche se non si arriva agli estremi del film di Kim Ki-duk, in cui le prime battute vengono pronunciate negli ultimi 10 minuti della pellicola. Così come in “Ferro 3” ci sono accenni alla violenza della società, del sistema, dell’individuo, ma senza mai raggiungere i livelli vertiginosi delle scene spesso sconvolgenti di “Old Boy”. Entrambi sono pervasi da una vena di poesia che ormai associo istintivamente al cinema orientale (vedi anche Wong Kar-wai, direttamente da Hong Kong, regista di “In The Mood For Love” e “2046”), e che probabilmente è data dai silenzi, dall’impatto musicale che subentra a questi silenzi, dalla bellezza, l’originalità e la teatralità di certe inquadrature, che riescono a comunicare molto già a prima vista.
Un film surreale, che in certi momenti si rivela inaspettatamente reale, e così efficace nel cogliere i piccoli gesti della quotidianità, nel mettere a fuoco le tante facce della società orientale (dai cellulari al sushi, sesso, televisione, e molto altro). Azzeccati i volti dei personaggi, che si muovono con disinvoltura in una trama complessa e artificiosa, regolata da una logica contorta.
Un uomo tenuto rinchiuso per 15 anni da rapitori sconosciuti senza sapere perché.
La solitudine, tante domande senza risposta. Quando si arriva ad esternare la propria sofferenza interiore facendosi del male, quasi sempre ci si accorge che il dolore fisico non riesce ad eguagliare quello che si consuma lontano dalla vista delle persone. La sofferenza dell’anima è la più straziante e penosa. E poi, una volta respirata di nuovo l’aria di libertà, ecco la sete di vendetta. Perché la vendetta fa parte di noi. Che ne pensate, un granello di sabbia e una roccia affondano davvero nell’acqua allo stesso modo? E sarà vero che se sorridi il mondo sorriderà con te, e se piangi piangerai da solo? Interrogativi sospesi, si intrecciano a sentimenti dolci e a scene raccapriccianti.
Denti tirati via con un martello, sulle note dell’“Inverno” di Vivaldi. Connubio di violenza e poesia. La musica, composta da Yeong-wook Jo, gioca un ruolo fondamentale in questo walzer di amore e morte. Atmosfere cupe e angosciose, di cui gli archi sono i primi artefici, con le grida dei violini e il rumore delle onde dei violoncelli. Violini e clarinetto, in un walzer che trascina un po’ tutto il film, e poi trombe, e rumori elettronici. Una colonna sonora intima e lacerante che dà voce all’inquietudine dell’uomo. Un film che è complesso e variegato come un’esistenza, e artificioso come la vita.

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