Everything in its right place.

rimuginato da franz , venerdì 6 luglio 2012 17:49

"Tutti sanno che se cospargi un essere umano di vernice, riuscirà a vivere se non gli dipingi le piante dei piedi. Basta un piccolo particolare come questo per uccidere una persona."
Miranda July, in uno dei racconti di "Tu più di chiunque altro" (il titolo originale era "No one belongs here more than you"... gran bel titolo. Anche la traduzione tutto sommato ha un suo perché... una delle rare volte in cui succede). 
Nello specifico il racconto in questione si chiama "Qualcosa che non ha bisogno di niente". Proprio quello che vorrei essere io: qualcosa che non ha bisogno di niente. "(...) Come la vernice. Ma anche la vernice ha bisogno di essere ridipinta", ergo non è possibile non avere bisogno di niente. Senza bisogni e desideri saremmo immobili, senza movimento non ci sarebbe vita. Ed io ho bisogno di tutto. O di qualcosa, almeno... nel migliore dei casi. Proprio come tutti, insomma. Eppure ci provo lo stesso, a non avere bisogno di niente. Perché non ce la faccio più a chiedere, non sopporto più di mettermi in quella posizione rispetto alle persone che ho intorno, di essere quella che ha bisogno. Non voglio quello che non volete darmi. Tenetevelo. E' il momento di rispolverare un po' di sano orgoglio, nella sua accezione positiva di "dignità umana". 
Poi in realtà questa solitudine la patisco, ma è una scelta.  La distanza che ora mi separa più o meno da chiunque mi sembra incolmabile. O vi ho fatto soffrire, oppure siete troppo, troppo felici per me.      
Di momenti incredibili come questo non ne avevo vissuti così tanti, fino ad ora. La mia natura vigliacca mi aveva sempre portata ad evitarli ad ogni costo, scendendo a compromessi, auto-convincendomi di volere le cose proprio così com'erano, accontentandomi. E ora mi ci ritrovo dentro, immersa fino al collo, in ciò che più mi terrorizza. Ogni giornata è una monetina lanciata in aria, e nessuno verrà a raccogliermi se inciampo. Posso restare a casa ogni sera a piangere in camera mia con un libro a caso aperto davanti e nessuno verrà a disturbarmi, a chiedermi come sto. Nessuno mi salverà. Proprio come nessuno ha mai potuto farlo, d'altronde. La differenza ora (oltre al fatto che non posso più lamentarmene a voce alta di fronte ad un pubblico compiacente come prima) è che tutto è nudo e crudo sul tavolo, sotto una luce impietosa. Le cose sono esattamente così come stanno. Niente giri di parole, niente appigli, niente filtri che addolciscano o mitighino in alcun modo questa spaventosa visione: è tutto incredibilmente limpido. Lucido, ineluttabile. E confortante, in un certo senso (la solita solfa: ritrovarsi col culo per terra sembra la cosa più orribile, ma non lo è... ormai sei caduto, la botta l'hai presa, e, ok, sei a terra, non è un idillio, ma di certo più giù di così non puoi andare). Sono qui, sola, incastrata in questo corpo che disprezzo, ma che è mio, che io lo voglia o no. Prima o poi dovrò imparare a farmi una ragione di me stessa, perché sono tutto ciò che ho, e la vita è una, ed è mia. E il momento è questo, non esiste momento migliore. 
Non lascio entrare nessuno. Perché ci sarebbero troppe cose da spiegare ed io sono stanca di parlare.

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