citazione

rimuginato da franz , mercoledì 29 aprile 2009 21:49

" Uno si mette a scrivere perché non è stato capace di picchiare un autista che l'ha reso ridicolo, perché non ha fracassato i piatti in un ristorante, perché non ha affrontato un poliziotto fuori di testa che insultava la sua ragazza, perché non ha detto a sua madre quanto l'amava e la detestava, perché non ha sputato in faccia ad un professore che diceva che la Terra è rotonda, perché si è fatto fregare il posto nella fila per il cinema, perché non ha arte né parte, perché pensa che è un modo facile di diventare famoso e fare i soldi, perché se lo fanno buffoni come Garcìa Màrquez e Mutis può farlo anche lui, perché con i numeri non ci sa fare, perché non vuole fare né il medico né l'avvocato, perché è incazzato, perché odia la gente e vuole insultarla.
Uno si mette a scrivere perché una ragazza carina gli ha detto che le piacevano gli scrittori, perché ha bisogno di un alibi per non lavorare, perché lo fa sentire superiore, perché ha letto un paio di romanzi sul Far West e vuole entrare in concorrenza, perché è un cowboy senza cavallo, perché lo fanno scribacchini come Vargas Llosa, perché non ha voce, perché non ha senso del ritmo, perché è stufo di farsi le seghe, perché vuole portarsi a letto una donna ma non c'è verso, perché pensa di avere qualcosa da dire, perché scopre che le ragazze carine dicono che gli scrittori sono teneri ma poi escono con i mafiosi, perché non gli lasciano mettere le mani addosso alle reginette di bellezza, perché è magro come un chiodo e non c'è niente da fare, perché ha paura di morire senza essersi scopato una ragazza carina, perché se uno stronzo ipocrita come Vargas Llosa scrive può farlo chiunque, perché sa che perde il suo tempo, perché invidia quelle bertucce che appaiono in tivù e guadagnano milioni, perché in mancanza di meglio vuole essere come Bukowski.
Uno si mette a scrivere perché non sa tirare di boxe e non ha fegato, perché ha i denti storti e non può sorridere come vorrebbe, perché per gli impotenti d'ogni sorta non c'è altra strada, perché tutti i brutti sono scrittori o assassini e lui non è capace di far male a una mosca, perché scrivere lo fa sentire importante, perché per essere chiamati scrittori non c'è bisogno di scrivere bene e per essere chiamati figli di puttana fa lo stesso se si ha una madre che è una santa, perchè ha paura di andare alla deriva senza far nulla, perché non può bere ogni sera, perché ama Dio ma odia le associazioni senza fini di lucro, perché non ha una ragazza, perché non ci sono emozioni ma insulti, perché a casa sua non c'è la televisione e la radio si è rotta, perché la moglie del vicino è un bonbon, perché ha paura di restare calvo e per questo evita gli specchi. Uno si mette a scrivere perché non osa rapinare un supermercato, perché ama una donna e lei è la fidanzata del gallo del quartiere, perché non ci sono abbastanza riviste porno, perché vuol fare qualcos'altro oltre a cagare e masturbarsi, perché non è il gallo del quartiere e non è neppure il più forte o il più spiritoso, perché non è niente di niente, perché non vale un cazzo, perché se esce di casa lo fanno a pezzi, perchè sua madre urla tutto il tempo, perché non ci sono né illusioni né luce alla fine del tunnel, perché la sua mente vola basso e non sarà mai un altro Cioran, perché non ha il coraggio di saltare, perché non vuole la moglie brutta che si merita, perché ha paura di morire senza avere assaggiato un bel culetto, perché non ha padre né amici né fortuna, perché non sa sputare come Clint Eastwood, perché rimane impantanato tra un'intenzione e l'altra, perché c'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo.
Il bello è che scrivere non serve a nulla di ciò che uno vuole. Scrivere è un limite, un dolore, un difetto in più. Il bello è che dopo averlo fatto stai malissimo. Niente è cambiato, tutto rimane al suo posto (tranne i tuoi fottuti capelli), Pelè non torna in campo. Il brutto è che scrivi e Pambelè va al tappeto steso da un gringo, un gringo maledetto che è stato dentro per aver picchiato sua madre. Il brutto è che Pambelè non è la madre del gringo e - per quanto tu scriva - rimane al tappeto. Il bello è che scrivi e continui a sognare la moglie del vicino, sogni di afferrarla per le orecchie e darle una bella ripassata. Il brutto è che scrivere non ti guarisce dagli impulsi assassini, che rapinare un supermercato rimane il tuo obiettivo impossibile. Il brutto è che desideri ancora un amore indimenticabile. Il bello è che scrivere è un altro modo di cagare e masturbarsi. Il brutto è che leggi grandi autori ma solo Bukowski ti rimane. Il brutto è che un giorno la ragazza carina viene a sapere che scrivi e lo stesso non si lascia scopare a morte. Il brutto è che scrivere serve a tutto quello che tu non vuoi.
"Ciao mamma."
"OH, MIO DIO, Rep, hai le scarpe SPORCHE DI CACCA."
"Non urlare, pulisco il pavimento."
"TOGLITI DI LI', TORNA DA DOVE SEI VENUTO"
"Va bene, mamma, ma non urlare."
"NON STO URLANDO." "

da C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo
di Efraim Medina Reyes

blu

rimuginato da franz , lunedì 27 aprile 2009 15:55

Schizofrenia? Il mondo cambia radicalmente (solo nei colori) a velocità vertiginosa sotto i miei occhi. Mi sento come una manciata di piume in balia di una corrente di euforie e malumori travolgenti: un pezzo va qui, l'altro là, e afferrarli e ricomporli è impossibile.
Per dire. Scendo dal treno canticchiando Cat Stevens e tutto mi sembra possibile. Neanche un'ora dopo mi lascio trasportare dalle scale mobili con Idioteque nelle orecchie e sono una non-morta sull'orlo del non-suicidio. E un intervallo di un'ora non sfiora neanche lontanamente il tempo che intercorre fin troppo spesso tra i miei picchi di up e down umorali. Spa ven to so.
C'è una costante, però, almeno in questi ultimi giorni, in grado di rendermi vagamente orgogliosa: l'auto-controllo. Non che mi riesca di non palesare il mio mood, non sia mai detto... purtroppo. Ma riesco a contenermi... a darmi più o meno la forma che voglio senza tradire il contenuto. E, cosa a dir poco meravigliosa, sono riuscita/riesco a fare tutto comunque. Impartisco ordini al mio corpo, e il mio corpo obbedisce, anche se si tratta di azioni tutt'altro che sentite, anche se si tratta di azioni pesanti o scomode. Tipo uscire di casa per andare a lezione stamattina. Tipo sbrigare le faccende di casa quando vorrei solo tirar giù le serrande e infilarmi sotto le coperte. Tipo studiare o leggere o guardare un film quando vorrei prendere a pugni il muro. Sento chiaramente di avere il controllo di me stessa. Esaltante, quasi. Scommetto che non durerà ancora per molto.
I giorni passano, e voglio ucciderti. Magari non proprio ucciderti, ma farti molto male sì. Ho dentro una rabbia possente che a tratti sfuma nell'avvilimento e nella delusione, temperandosi poi di nuovo puntualmente in feroce istinto omicida. I giorni passano in un silenzio carico di urla assatanate. Quando potrò vederti, e parlarti, mi sentirò meglio. Chissà se si può dire lo stesso di te.

Ieri sera concerto degli Elettronoir. Ho avvertito le potenzialità di quell'ora e più di musica, le ho sfiorate con le dita. Ma niente di più. Ero avvolta da una spessa coperta di fredda malinconia, e il vuoto mi ha fatto visita. Ho ringraziato me stessa per essere uscita coi tacchi in occasione di una simile serata (vie lastricate di sampietrini e concerto in piedi): sono riuscita a provare una nuova meravigliosa qualità di dolore, modellata così perfettamente sul mio mood di quel secondo (malcelata disperazione), da permettermi in quel preciso momento di sentirmi meglio. Avevo i tacchi e la minigonna. Speravo sarei riuscita a sentirmi bella, di fatto ho finito col sentirmi sola. Sola da soffocare. Sola da vomitare. Che idiozia. Neanche la musica mi ha salvata, eppure Georgia ha una voce trascendentale sul serio, e il gruppo spacca. Sicuramente ero troppo lontana per ascoltare fino in fondo.
Stanotte sogni terribili. Sì, stamattina ero davvero orgogliosa di me, china per allacciarmi le scarpe in procinto di uscire com'ero, nonostante tutto.
Questo silenzio è assordante. Se non succede presto qualcosa, finirò col diventare sorda.

Basta aspettare Godot! Me ne vado.

rimuginato da franz , sabato 25 aprile 2009 13:00

Leggo C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo, di Efraim Medina Reyes.
Calpesto la terra dura e rinsecchita già calpestata infinte volte da altri, e guardandola mi convinco di riuscire a far crescere il verde persino lì, dove proprio non ti immagineresti mai di vederlo spuntare. Guardo il suolo arido e ci vedo tante cose... riesco persino ad immaginare quel germoglio, dalla bellezza e fragilità sconcertanti, fare timidamente capolino dalla polvere. Qualcuno ha pensato di avanzare ipotesi: Qualcosa è cambiato: hai delle prospettive.
E' vero. Ho sentito bussare alla mia porta, e quando l'ho aperta il pacchetto delle possibilità era lì, ad aspettarmi sullo zerbino sporco.
Forse ho passato la fase accidiosa, che oramai si protraeva da anni. Ora sono nella fase isterica/invasata/iperattiva. In altre parole, non riesco a fermarmi.
Non solo voglio fare molte cose, che anche soltanto ad elencarle ci si mette una vita, ma voglio persino farle bene. Partendo dai piccoli doveri quotidiani, passando per le scadenze a breve termine, fino ad inserire uno dopo l'altro i tasselli di un progetto più ampio, il mio progetto di eternità, il mio progetto di vita. Un progetto di volontà.
Ora in qualsiasi momento mi guarderai, starò facendo qualcosa.
Starò studiando, e studiando seriamente. Perché che senso ha essere iscritti all'università senza la volontà di conoscere davvero qualcosa? Di poter dire: Sì, di questo so parlarti, e so farlo perché ci ho studiato sopra... sono competente in materia, non parlo per sentito dire, riciclando parole smozzicate da altri, non apro la bocca solo per darle fiato.
Starò leggendo, in qualsiasi momento morto. Perché è una cosa che amo, e che non ho mai il tempo di fare quanto vorrei. Quindi dai una sbirciatina a me in metro, alla fermata dell'autobus, nella sala d'attesa del dentista. Mi vedrai leggere. Il più delle volte con le cuffiette nelle orecchie, perché la musica è un'altra delle cose che amo di più.
Ho iniziato a portare il moleskine sempre con me per davvero, perché troppe sono state nel tempo le idee annegate nel nulla, e perché dovrò scoprire veramente se so scrivere o no, se ho le giuste innate qualità, se posso davvero definirmi un soggetto creativo... in quanto, se così non fosse, beh... dovrò farmene una ragione ed iniziare a pensare a qualcos'altro.
Guardami spulciare ogni giorno i siti di annunci di lavoro, guardami scappocciare sulla compilazione di un adeguato e sufficientemente veritiero e insieme valorizzante curriculum vitae. Perché il mio sogno più grande è viaggiare. Partire. Immergermi in realtà diverse, lontane, respirarle in profondità, farle mie. Perché il mio sogno è la ricchezza, la ricchezza dei pensieri, delle parole, delle conoscenze, delle esperienze, dei sapori dei suoni degli odori, la profondità, l'acutezza, la bellezza e l'energia. Una ricchezza culturale, una ricchezza umana, la più appagante in assoluto. Perché il mio sogno è essere me.
Guardami, amore mio. Ho sempre avuto troppi sogni, e troppa paura di muovermi per realizzarli. Ma ora voglio davvero ricordarmi di respirare, perché in apnea non c'è speranza. Perché davvero non c'è niente da temere, se non la paura stessa.
Ora non sono più nell'anticamera di tutto. Ora sono nel tutto. Questo è il luogo preciso della vita. E ti voglio accanto. Ti voglio come non ho mai voluto nessuno. Incantevole, e Strade inquiete.
Te lo dirò quando tornerai.

uno sfogo infantile, col vostro permesso

rimuginato da franz , lunedì 20 aprile 2009 16:40

Inizio melodramma:
E' la storia della mia vita: le persone partono e franz resta a casa.
Partire significa molte cose, restare significa molte cose.
Questo è uno di quei momenti in cui la frustrazione quasi mi strangola, e riesco a vedere chiaramente. Che un giorno come gli altri mi sveglierò, e sarò vecchia. Sarò sempre me, sempre la stessa, eppure guardandomi allo specchio non saprò riconoscermi. Proverò orrore.
E un giorno, un giorno come gli altri, io morirò, senza aver capito un cazzo, senza aver fatto un cazzo. Nessun senso.
E ora so fare un'unica cosa idiota molto da me: piangere. Prendermi a pugni, senza avere il coraggio di fare di meglio. Ascoltare musica incazzata ad un volume paurosamente vicino al limite di sopportazione delle piccole casse del mio pc.
Non c'è niente da fare, e non c'è niente da dire. Nuotando tra i timori e l'inettitudine, qui il cambiamento non esiste, e la speranza è morta. Non so rassegnarmi al fatto di essere nessuno. A non avere nessun talento. Non ho ancora imparato a recitare bene la mia parte. Non riesco a ficcarmelo in testa, che sono un numero. Che mi confondo in mezzo a tutti gli altri, e sono proprio come tutti gli altri.
Ma sì, franz. Stai serena. In fondo, devi solo tapparti il naso un altro po'. Fino a che... non lo so. Ma tu aspetta. Ingoia. Finché non ti cade una tegola in testa. O finché non ti risveglierai morta.
Fine melodramma.

Tacque.

rimuginato da franz , giovedì 9 aprile 2009 16:12

La parole sfrigolano e cadono morte come insetti nel fornellino elettrico. Il loro valore è colato a picco: al momento tocca il minimo storico dello 0,0001%. Di notte nei sogni si scatena la follia, di giorno le emozioni si rimescolano, e accecano, intorbidiscono la visione, intorpidiscono i pensieri. Il silenzio è l'unica cura possibile. Il silenzio è l'ultima strada.

Per l'Abruzzo

rimuginato da franz , mercoledì 8 aprile 2009 12:54

Silenzio commosso, ansia febbrile e frustrazione soffocante.

franz chiusa in casa a causa di un'influenza devastante.

the forbidden step

rimuginato da franz , domenica 5 aprile 2009 17:46

C'è il sole, e sono felice, perché credevo di averti perso e invece ti ho ritrovato. E l'ho già detto, ma lo ridico: fuori c'è il sole... fa caldo, oggi. Fa caldo che sembra estate. La mia pelle sa di te.

L'après midi, e troppe coincidenze, ultimamente. C'è qualcosa di più bello del sole sulle braccia, la musica nelle orecchie e una lunga, lunga strada davanti... di cui non si riesce a vedere la fine?